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martedì 28 febbraio 2012

KALI

Presso la religione induista, Kali (sanscrito Kālī, in Devanagari काली) rappresenta l'aspetto guerriero di Parvati, la consorte di Śiva, una divinità dalla storia lunga e complessa. È conosciuta anche come Devi (la dea) e Mahadevi (la grande dea) e assume aspetti diversi: Sati (la donna virtuosa), Jaganmata (la madre del mondo), Durga (l'inaccessibile).



 

 La città di Calcutta deve il suo nome al termine Kalighat (i gradini di Kalì) che servono ai fedeli per scendere al Gange.


.Etimologia

Kali è il genere femminile della parola sanscrita kala che significa tempo ma anche nero. Per questo motivo il suo nome è stato più volte tradotto come Colei che è il tempo o colei che consuma il tempo o la Madre del tempo e infine colei che è nera. L'associazione al colore nero della dea è in contrasto con suo marito Shiva, il cui corpo è ricoperto di cenere bianca (in sanscrito śmaśan).















 

 



 


STORIA:

Kali appare per la prima volta nel Rig Veda non in qualità di divinità ma come lingua nera delle sette lingue fiammeggianti di Agni, il dio del fuoco. Tuttavia, un prototipo della dea, intesa come divinità femminile, appare con il nome di Raatri che è considerata anche il prototipo della dea Durga.







 
Inviata sulla Terra per sgominare un gruppo di demoni, iniziò ad uccidere anche gli esseri umani. Per fermarla, Śiva si distese fra i cadaveri; quando la dea si accorse che stava per calpestare il proprio marito, interruppe la sua furia. Kali era il terzo elemento della triade indù, insieme a Brahma il creatore e Vishnu il preservatore. Per completare il sistema mancava un distruttore, caratteristica che è considerata praticamente la funzione di kali. Secondo gli insegnamenti dell'induismo, la morte non implica il passaggio alla non esistenza, ma semplicemente una trasformazione e un passaggio a una nuova forma di vita. Pertanto ciò che viene distrutto fa sì che gli esseri attraversino nuove fasi di esistenza: il distruttore è colui che crea nuovamente, ruolo che gli valse il nome di regina della Morte




 Simbolismo

Nonostante sia grossolanamente identificata come simbolo di oscurità e violenza, si tratta di una deità benefica e terrifica al tempo stesso, dotata di numerosi attributi dal profondo significato simbolico:

    la carnagione scura rimanda alla dissoluzione di ogni individualità;
    la nudità della dea rappresenta la caduta di ogni illusione;
    il laccio con cui prende le teste per mozzarle rappresenta la caducità di tutto ciò che esiste;
    le quattro braccia reggono strumenti di distruzione e purificazione

lunedì 27 febbraio 2012

YEMAYA

 
Nella mitologia yoruba, e nei culti correlati afroamericani come il Candomblé e il Vodun, Yemaja è la madre di tutti gli Orisha. A seconda della tradizione, viene indicata anche come Imanja, Jemanja, Yemalla, Yemana, Yemanja, Yemaya, Yemayah, Yemoja, Ymoja e in altre varianti. È la regina del mare; si invoca per protezione (in particolar modo delle donne incinte), purificazione e aiuto in generale, chiedendone la manifestazione nel suo aspetto più materno; un altro aspetto di Yemaja, quello distruttore, è simboleggiato dal mare in tempesta.



 


ASPETTO,FORME E ATTRIBUTI:
 La tradizione narra che Yemaja sia nata dalla spuma del mare, come (Venere); la sua figura si può far corrispondere a quella generale della "Grande Madre", propria di numerose tradizioni
                                                  


 Ha insegnato l'amore a tutti gli Orisha, è sposata con Babalú Ayé. Tra le caratteristiche che la contraddistinguono vi sono la passione per la caccia, l'astuzia, l'indomabilità, la collera, la severità, l'allegria. Le sono associati i colori bianco e blu e il sabato; nei sincretismi viene identificata con la Vergine della Regola. I suoi fedeli, prima di pronunciare il suo nome, devono toccare con i polpastrelli la polvere della terra.

 Tra i suoi attributi vi sono la luna e il sole, l'ancora, il salvagente, le scialuppe. Veste abitualmente con una lunga veste azzurra con serpentine simboleggianti il mare e la spuma e regge un ventaglio adornato con conchiglie. Dea madre e patrona delle donne, specialmente di quelle in gravidanza, è patrona anche del fiume Ogun, le cui acque si dice che riescano a curare l'infertilità. I suoi genitori sono Oduduwa e Obatala. Suo figlio Orungan la violentò una volta e ci riprovò una seconda; per impedire questa violenza, Yemaja esplose dal proprio ventre quindici Orisha, inclusi Ogun, Olokun, Shopona e Shango.